================ Metromeccanica ================ Volume 1 ======== :Autore: Franco Scopinich :Trascrizione: dakkar@thenautilus.net :Pubblicazione: 1991 :Version: $Revision$ .. image:: vol1/cover.png Premessa ======== Chi si accinge a leggere questo libro di metromeccanica deve sapere che non può trattarsi di un manuale di metromeccanica. Perché questa scienza, nel 1991, non esiste. Cioè: cominica a ora ad esistere poiché nasce con questo libro, e con le prime invenzioni cui l'autore ha voluto attribuire questo aggettivo, per intendere un nuovo tipo di meccanica assolutamente diversa dalla tradizionale ed i cui principi generali verranno, nei limiti di ciò che l'autore al momento sa, enunciati in seguito. Chi si accinge a leggere questo libro, che non è distribuito come gli altri libri, deve sentirsi impegnato (perché, se lo sta leggendo, lo può fare) a proseguire nel cammino che qui inizia, scoprendo, realizzando o divulgando quanto potrà nascere da questa nuova scienza. Non è infatti nelle intenzioni dell'autore, che conosce i suoi limiti, scrivere i volumi successivi al primo. CAPITOLO 1 ========== Primo Principio della Metromeccanica ------------------------------------ In mancanza di altri principi, questo è il primo. Se a qualcuno dei lettori verrà in mente qualcosa di più valido sono disposto a concedergli questo primato, ma non ritengo comunque che questo meriti meno della seconda posizione. “Un meccanismo metromeccanico deve realizzare autonomamente ciò per cui è stato creato” Trattandosi di "cose" che prima non esistevano non ritengo il termine "creato" eccessivo. Comunque va bene anche "progettato". Innanzitutto ciò vuol dire stravolgere completamente il punto di vista abituale; pensare all'effetto per crearne la causa capovolgendo la meccanica convenzionale. E vedrete nel seguito quanto ciò possa dimostrarsi utile. Nella meccanica tradizionale (che secondo l'autore non riesce a staccarsi dalle ben note radici medioevali) un meccanismo può raggiungere il suo scopo in un modo qualunque. E, se non lo raggiunge in modo soddisfacente, è lecito aggiungere un altro meccanismo che ne "corregga la rotta". E, se questo non risulta sufficiente, è molto probabile che se ne aggiungerà un altro. E così via. Si è arrivati al 1991 continuando a mettere "pezze" su invenzioni che dovrebbero ormai essere dimenticate da lungo tempo. L'informatica è sembrata a molti la soluzione giusta per risolvere i problemi ma è riuscita solo a creare nuove "pezze", talmente sofisticate da riuscire quasi a nascondere il rozzo meccanismo originale. L'autore precisa che sta, in questo momento, servendosi di un computer e che, abitualmente, ne utilizza altri tre; per cui è ben lontano da negarne l'utilità. Il problema è: se da Venezia devo raggiungere Milano, vado ad est o ad ovest? Una soluzione è: se vado a piedi ad ovest ci metto più tempo che andando in aereo ad est. La meccanica del 1991 usa un aereo che circumnaviga il globo, la metromeccanica suggerisce di andare ad ovest con un altro mezzo che non siano i piedi. (L'aereo va bene) Delegando all'informatica la soluzione dei problemi di una meccanica sorpassata si accettano i limiti che noi stessi fissiamo nel fornire le indicazioni da elaborare. Un servomeccanismo che sia programmato per risolvere una cinquantina di condizioni diverse, come reagirà alla cinquantunesima? E si può essere certi che la cinquantunesima si verificherà. ---- Un meccanismo metromeccanico, quindi, deve creare autonomamente la condizione per cui è progettato: se è un freno, la sua condizione normale è di essere frenato (e l'anormale è di essere libero) se è un cambio di velocità la sua condizione normale è di essere in "presa diretta" (l'anormale è di essere in "prima"), se è un veicolo spaziale la sua condizione normale è di essere nello spazio (l'anormale è di essere sulla rampa di lancio) e così via. A proposito: *Problemino* per la N.A.S.A. Per mettere in orbita il "Columbia" occorrono x Tonnellate di "carburante"; per mettere in orbita il "Columbia" più le X tonnellate di carburante che occorrono per metterlo in orbita, occorrono y tonnellate di carburante; per mettere in orbita il "Columbia" + le x tonnellate che occorrono per metterlo in orbita + le y tonnellate che occorrono per mettere tutto questo in orbita occorrono z tonnellate di carburante ... omissis ... *Domanda*: quanti serbatoi di carburante saranno necessari per mettere in orbita il "Columbia" e tutto il resto? *Risposta*: Tre. Ma molto grandi. CAPITOLO SECONDO ================ Secondo principio della Metromeccanica -------------------------------------- Vale la stessa premessa del primo. “Un meccanismo metromeccanico deve tendere, sia nella progettazione che nella realizzazione, alla massima semplicità” Secondo l'autore, questo principio è altrettanto valido del primo, anche se a prima vista non parrebbe. La ricerca di un mezzo semplice (ed efficace) per risolvere un problema in modo "metromeccanico", porta spesso il ricercatore sulla buona strada per congegnare un valido dispositivo metromeccanico. È importante ignorare completamente quanto già esiste e partire da zero. E poi "ottimizzare tutto". (Senza rinunciare all'indispensabile). Ottimizzare il numero dei componenti in un meccanismo metromeccanico vuol dire, oltre che ridurre il costo della sua realizzazione, ridurre inutili attriti e consentire alle forze in gioco di svolgere la loro "attività" senza sprechi di energia. Spesso la genialità va d'accordo con la semplicità. Se l'idea di partenza è geniale, non bisogna appesantirla con sovrastrutture inutili. E se invece le sovrastrutture sono utili, può voler dire che l'idea di partenza non è geniale. Qualche indicazione utile a comprendere questo secondo capitolo c'era già nel primo; altre seguiranno nei capitoli successivi. A proposito: *Problemino* per una ditta costruttrice di Cambi automatici. Un cambio automatico a 4 marce è già lungo quasi un metro, per trasformarlo in un cambio automatico a 5 marce bisogna aggiungere un tot di ruotismi epicicloidali, di frizioni elettromagnetiche, di ingranaggi vari etc. Domanda: come si fa? Risposta: la si fa lungo mezzo metro in più, si chiede alla dita che costruisce la vettura di spostare più in là tutto quanto possibile (anche il guidatore, se necessario) e, soprattutto, lo si chiama con un nome che suoni bene. E sembri intelligente. CAPITOLO TERZO ============== Terzo principio della Metromeccanica ------------------------------------ Valgono le solite premesse. “Un meccanismo metromeccanico deve tendere alla totale assenza di attriti” Ho detto tendere, non pretendo un "moto perpetuo" (però...). - Tutti tendono a ridurre gli attriti - sogghignerà qualche distratto. Allora spiegatemi che cosa ci stanno a fare, nel 1991, quei ridicoli freni che equipaggiano le nostre vetture. A disco, a tamburo, servoassistiti, a doppio circuito, con l'ABS, con i dischi autoventilanti, al carburo di qualcosa... Ma sono sempre gli stessi ridicoli meccanismi che qualche secolo fa (anzi, qualche millennio fa) frenavano le ruote dei carri. La differenza? Beh, a parte i buoi, che comunque contribuivano abbastanza alla frenata, non è cambiato molto. Come già detto, sovrastrutture, servomeccanismi, centraline elettroniche, ma il problema di secoli fa rimane intatto: Attriti paurosi, surriscaldamento, deformazione degli elementi, usura dei materiali etc. Eppure ci sono tanti modi di frenare il moto, anzi di contrastarlo, senza dover ricorrere al più banale e arcaico di tutti: l'attrito. La metromeccanica suggerisce che un "freno" sia, nella sua condizione ottimale, frenato. Quindi, dovendo progettare un freno metromeccanico (già fatto), è sufficiente rovesciare come al solito il problema: si crea un asse che non si possa muovere (se non trascinandosi dietro tutta la carrozzeria, il telaio e il motore - e il solito ignare passeggero -) e gli si concede di muoversi come condizione eccezionale. All'atto della frenata, senza nessun attrito, gli si inibisce questa possibilità. E l'asse si frena. Mi sembrava il problema più importante, relativamente al terzo principio della metromeccanica. A voi scoprire gli altri. A proposito: Problemino per i costruttori di autoveicoli. (non faccio nomi per non inimicarmi parte dei lettori). Un'auto percorre una lunga discesa con largo uso dei freni (il guidatore è un po' distratto) e l'olio dei freni va in ebollizione. *Domanda*: Quando il guidatore si accorge che il pedale del freno gli è meno utile del santino che ha sul cruscotto e che il "freno a mano" riesce sì e no a mantenere costante la velocità (che quando si accorge del problemino è già notevolmente elevata) cosa fa? (n.d.r. il problema è autobiografico) *Risposta*: Cerca un campo libero dove atterrare dopo il decollo dalla prima curva. (L'autore ha preferito il santino e per questo è qui a scrivere) *Oppure*: Apre la portiera e tenta di frenare con il tacco della scarpa (che è pur sempre un valido attrito). CAPITOLO QUARTO =============== Quarto principio della Metromeccanica. -------------------------------------- “Per comprendere pienamente la metromeccanica bisogna aver capito perfettamente i suoi tre principi fondamentali” Soprattutto l'essenzialità. Per questo, a parere dell'autore, non ne servono altri. CAPITOLO QUINTO =============== Le invenzioni Metromeccaniche ----------------------------- In mancanza d'altro, l'autore è costretto a menzionare le sue. Non è per immodestia, quindi. A proposito: Domanda: Con quante "m" si scrive immodestia (è un termine che conosco poco). Risposta: Con due, con due, come "Sommo" (grazie), come "Immaginifico" (grazie), come "Innovatore" (grazie, ma non sono "n"?) etc. etc. CAMBIO AUTOMATICO A VARIAZIONE CONTINUA DI RAPPORTO --------------------------------------------------- .. _`disegno riportato nella pagina a fianco`: .. image:: vol1/cambio.png All'inizio, è questa la sua prima invenzione, l'autore non sapeva ancora di essere incorso in una realizzazione metromeccanica; per cui nel brevetto relativo (che verrà inviato in copia - come pure i successivi - a chiunque ne faccia richiesta) non si fa uso del termine metromeccanico. Per brevità non si riporterà l'intero testo del brevetto: i lettore, sapientemente selezionati, sapranno capire il funzionamento anche con poche, semplici parole (o addirittura con il solo `disegno riportato nella pagina a fianco`_). Il problema era: come realizzare un cambio che non avesse rapporti fissi, frizione, ingranaggi più o meno in collisione continua etc.? La prima soluzione fu: un differenziale con un asse più o meno frenato per consentire il moto differenziato all'altro (diretto alle ruote). Pur non avendo letto il manuale di Metromeccanica, l'autore si rifiutò subito di usare un attrito anche se per una "giusta causa". "E se il freno si potesse riconvertire in qualche modo in spinta?" - si chiese. La risposta è nella pagina accanto: gli ingranaggi di sinistra (C) sono il "freno" (che non è, naturalmente, un freno dato che non si creano attriti); essendo tutti solidali tra loro ed essendo solidali alle ruote (C5), questi ingranaggi "frenano" l'asse di sinistra del differenziale in altro (E) e consentono al moto di "M" (il motore) di passare per gli ingranaggi "A" e "B" che risultano demoltiplicati. Il secondo differenziale (F) combina il moto degli ingranaggi "frenati" con quello dei demoltiplicati fornendo al convertitore di coppia (G) (purtroppo l'autore non aveva, allora, di meglio) un giusto rapporto di riduzione della velocità di "M" da passare alle ruote. Il movimento delle ruote, sotto questa spinta, passa immediatamente agli ingranaggi di sinistra, solidalmente collegati; quindi, man mano che il veicolo prende velocità, questi concedono sempre meno agli ingranaggi demoltiplicati. Una volta raggiunta la condizione metromeccanica ottimale (la presa diretta), questi ultimi diventeranno completamente inerti, come il convertitore di coppia. In tutte le condizioni di marcia (accelerazione, decelerazione, ripresa, frenata, marcia in salita, marcia in discesa) il cambio automatico a variazione continua di rapporto fornisce il miglior rapporto possibile al convertitore di coppia. Infatti, al variare della velocità di "M" rispetto a "R" (per accelerazione o decelerazione), questa differenza transita automaticamente per gli ingranaggi demoltiplicati modificando immediatamente il rapporto Motore-Ruote. In decelerazione (o in frenata o in discesa) gli ingranaggi demoltiplicati ruotano in senso opposto a quanto avviene in accelerazione (o in salita) e quindi il convertitore di coppia agisce al contrario ("D" gira meno velocemente di "R" e quindi tende a frenarlo); il risultato è sempre una potente (e pronta) azione del cambio automatico nel variare opportunamente il rapporto di trasmissione. (I vari casi verranno esaminati più diffusamente nel terzo brevetto) Con un brevetto successivo, l'autore sostituisce i differenziali e tutti gli ingranaggi collegati con ruotismi epicicloidali che danno gli stessi risultati assicurando maggior resistenza agli elementi del cambio e maggior semplicità costruttiva. Questo primo brevetto merita una precisazione: la guida di un veicolo dotato di un cambio di questo tipo è eccezionalmente semplice e sicura. È assolutamente diversa, rispetto alla guida convenzionale, anche se dotato di un moderno cambio automatico, perché risponde immediatamente, e senza scossoni o salti di marce, alle esigenze della guida. La decelerazione che si ottiene togliendo il piede dall'acceleratore è pari a quella che si ottiene con un continuo passaggio al rapporto più "basso" nei cambi tradizionali, solo che i rapporti sono infiniti ed è, praticamente, innestato sempre il più basso possibile. L'uso del freno, in un cambio come questo, risulta quasi opzionale (serve praticamente solo per arrestare la vettura o per frenate particolarmente brusche). Infine, questo cambio, ottimizza il consumo di carburante perché tende automaticamente, in ogni condizione, al rapporto più economico (la presa diretta). Oltretutto è estremamente semplice. CAMBIO AUTOMATICO METROMECCANICO M.T. ------------------------------------- .. _`disegno 1`: .. _`Tavola 1`: .. image:: vol1/cambio2.png Cito testualmente dal brevetto: Il cambio automatico metromeccanico per veicoli a motore è un dispositivo atto a variare automaticamente e di continuo il rapporto di trasmissione Motore / Ruote fornendo istantaneamente, e in ogni condizione di guida, il miglior rapporto possibile. Assicura sempre il massimo rendimento del motore con il minimo consumo di carburante, non sottrae potenza e non è soggetto a particolare usura essendo tutti i suoi ingranaggi sempre in presa. Non richiede infine alcun intervento diretto da parte del guidatore. Il cambio automatico metromeccanico, esemplificato nel `disegno 1`_, tende sempre a portare, automaticamente, il semiasse "R" (collegato alle ruote) alla stessa velocità del semiasse "M" (collegato al motore) e cioè, come in ogni dispositivo di tipo metromeccanico, ad instaurare la condizione ottimale; in un cambio automatico questa condizione ottimale è, appunto, il rapporto di "Presa Diretta". Al variare delle condizioni di guida, come sarà visto dettagliatamente più avanti, modifica le velocità relative di "M" e "R" tramite il movimento degli ingranaggi "S", altrimenti fermi (rispetto a "T"). Detto movimento, normalmente inibito dalle viti senza fine "T1" e "T2", viene reso possibile solo con la variazione della spinta di "M" (accelerazione) o di "R" (decelerazione) che, tramite i sistemi "P1" e "P2" portano "T1" e "T2" ad avere la stessa velocità di rotazione. La concezione assolutamente nuova del cambia automatico metromeccanico permette a qualunque tipo di veicolo a motore (sia esso autovettura, motociclo, veicolo industriale, commerciale, "fuoristrada" , altro) di ottenere risultati migliori rispetto a qualunque altro cambio, manuale o automatico. E ritengo, sinceramente, che l'asserzione sia motivata. Questa è la DESCRIZIONE: La differenza di rotazione di "M" (motore) rispetto a "R" (ruote) che tende a crearsi in tutte le condizioni di marcia a velocità non costante spinge i satelliti "T" dell'epicicloidale "E" a ruotare più velocemente (in accelerazione) della corona "R" (in decelerazione tenderanno a ruotare meno velocemente). Per l'impossibilità della vite senza fine "T1" di trasferire, tramite gli ingranaggi "S", il suo moto alla vite senza fine "T2" che, come tale, non può ricevere un movimento tangenziale come quello imposto dagli ingranaggi "S", le molle del gruppo "P1" si comprimeranno (nell'uno o nell'altro senso, a seconda che si tratti di accelerazione o di decelerazione). Alla parziale rotazione di "T" all'interno di "P1" corrisponderà una identica rotazione di "T" all'interno di "P2" (dato che l'albero "T" è comune) e questo (quando "T" e "P2" verranno a toccarsi) porterà "P2" (e quindi "T2" che ne è collegato solidalmente) a ruotare alla stessa velocità di "P1" (e del solidale "T1") liberando il movimento degli ingranaggi "S". Per la particolare struttura del cambio metromeccanico, questo evento potrà verificarsi solo quando la compressione delle molle di "P1" raggiungerà il massimo (quando cioè "T" arriverà a far ruotare "P2" fornendo una spinta coassiale alla vite senza fine "T2"). Questo tipo di movimento, oltre ad essere inibito dalle molle "P1", è, soprattutto, inibito dalla pressione della vite senza fine "T1" sugli ingranaggi "S" bloccati, a loro volta, dalla vite senza fine "T2". Queste due condizioni, combinate, spingono tutto l'insieme "R" a ruotare e, trattandosi di una spinta provocata da ingranaggi demoltiplicati ("T" ha una velocità pari ad 1/4 della differenza tra "M" e "R"), il loro effetto sarà molto efficace. Riepilogando quindi, nel cambio metromeccanico qualunque differenza di rotazione tra "M" e "R" verrà automaticamente demoltiplicata e ritrasferita (come spinta o decelerazione) ad "R" dall'insieme degli ingranaggi "T" e "S". Gli esempi successivi analizzeranno il comportamento dei vari ingranaggi nelle varie condizioni di utilizzo della vettura. ACCELERAZIONE: A vettura ferma, l'albero "R" (e quindi tutto il sistema "R") sarà a zero giri di rotazione rispetto all'asse "M-R". La rotazione del motore tenderà quindi a transitare per i satelliti "T" dell'epicicloidale "E" che saranno spinti a ruotare (rispetto all'asse "M-T") ad una velocità pari a M/4 (considerato, nell'esempio, il diametro del centrale "M" pari a un terzo della corona "R" dell'epicicloidale "E"). Ammesso che le ruote siano frenate e che, quindi, questo movimento non si trasferisca ad "R" (a cui sono fissati gli ingranaggi "S"), "T1" e "T2" ruoteranno a pari velocità di "T" (una volta vinta la resistenza delle molle di "P1" e trasferito anche a "P2" il movimento di "T") e gli ingranaggi "S" ad un trentaseiesimo di questa velocità. Questo movimento, come già visto in precedenza, non è libero (altrimenti esaurirebbe completamente la spinta di "M") ma ostacolato dalla pressione tangenziale dei vari ingranaggi del sistema "R". Disinserendo i freni, questa spinta si trasferirà a "R" che tenderà a raggiungere la velocità (di rotazione rispetto all'asse "M-R") dei satelliti epicicloidali "T". All'incremento della velocità di "R" corrisponderà un aumento della velocità di "T" (ma, contemporaneamente, una minor differenza tra loro e quindi con una minore pressione sulle molle di "P1") fino a che, dette velocità, diverranno eguali tra loro ed eguali a quella di "M" realizzando la condizione ottimale del cambio automatico metromeccanico, la "presa diretta". In questa condizione gli ingranaggi "S" sono fermi rispetto al loro asse e rispetto a "T1" e "T2" (ruotando con tutto l'insieme "R" rispetto all'asse M-R). In questa condizione non esiste nessun attrito o spinta tangenziale degli ingranaggi, nemmeno quello dell'epicicloidale "E", avendo tutto il cambio un unico moto di rivoluzione e non di rotazione sui relativi assi; il cambio, quindi, in presa diretta non assorba alcuna potenza. Quella assorbita in accelerazione (o decelerazione), viene invece istantaneamente convertita in spinta o, rispettivamente, in freno a "R". RIPRESA: La guida di una autovettura equipaggiata con il Cambio Automatico Metromeccanico M.T. è semplice, sicura, economica e ottimale in tutte le condizioni. In ripresa, in particolare, questo nuovo cambio permette di trasferire immediatamente alle ruote tutta la potenza necessaria. In una vettura, ad esempio, che marci alla velocità costante di 60 Km/h gli ingranaggi "S" saranno praticamente fermi (rispetto ai loro assi e alle viti senza fine "T1" e "T2"); i giri del motore (che ipotizziamo 2000 /min.) verranno trasferiti alle ruote unicamente dall'epicicloidale "E" (anche questo con solo moto di rivoluzione e non di rotazione dei relativi assi) con rapporto 1:1 (presa diretta). Nel momento in cui si decide di aumentare la velocità, sarà sufficiente la pressione sull'acceleratore ad innestare il meccanismo di variazione metromeccanica: l'aumentato numero di giri del motore, infatti, tenderà a transitare quasi esclusivamente per "T" fornendo, come visto prima, una immediata spinta a "R" che tenderà quindi ad aumentare la sua velocità per equipararsi a "T" ed a "M". Agendo, il cambio automatico metromeccanico, in qualunque condizione in cui vi sia differenza tra le velocità di "M" e "R" (anche minima) risulta evidente che farà sentire il suo effetto anche nelle condizioni in cui un cambio tradizionale esaurisce il suo: quando cioè la vettura viaggia con il rapporto più lungo ad una velocità che, per i rapporti fissi usati, non permette di utilizzare una marcia più bassa. In questa condizione, in un cambio tradizionale, l'accelerazione è limitata dal basso numero di giri del motore (fuori coppia) e dalla "pesantezza" del rapporto fisso (lungo). Il cambio automatico metromeccanico agisce in queste condizioni come in qualunque altra: trasferisce la differenza di rotazione di "M" rispetto a "R", anche se minima, agli epicicloidali "T" innestando il meccanismo di accelerazione e fornendo la massima spinta a "R". DECELERAZIONE: L'effetto frenante del Cambio Automatico Metromeccanico è potente e progressivo. La differenza di rotazione del motore, quando si toglie il piede dall'acceleratore, tende a passare istantaneamente agli ingranaggi "T" (come già visto) innestando un processo identico, ma inverso, rispetto a quello analizzato per "accelerazione" e "ripresa". L'epicicloidale "T" tenderà a decrementare la sua velocità rispetto a "R" e ciò sarà possibile solo quando le molle di "P1" saranno completamente compresse (nel senso opposto a quanto avviene in accelerazione o in salita); questa azione, come già visto, crea la condizione necessaria al transito del moto tra "P1" e "P2" (e quindi tra "T1" e "T2") e alla conseguente rotazione degli ingranaggi "S" sui loro assi. "T", quindi, può effettivamente ridurre la sua velocità rispetto a "R" ed essendo demoltiplicato (di 1/4) rispetto a "M", la sua azione frenante sarà ottimale. Questa efficace azione di "freno motore" (praticamente inesistente nei cambi automatici tradizionali) può essere paragonata a quella che si ottiene scalando continuamente marcia nei cambi manuali tradizionali, con la differenza che qui l'azione è costante e uniforme non essendo limitata a 4 o 5 marce In una vettura che viaggi alla velocità costante di 120 Km/h (con un regime di rotazione del motore che ipotizziamo di 4000 giri/min.), supponendo di togliere il piede dall'acceleratore, il motore tenderà a raggiungere il regime minimo (800 giri/min); se lo raggiungesse istantaneamente, la differenza di rotazione di "M" rispetto a "R" (3200 giri/min) transiterebbe totalmente per "T" attuando una decelerazione immediata e violenta; in effetti la decelerazione del motore risulterà progressiva e combinata con l'azione di decelerazione dell'insieme "R" dando il risultato ottimale. MARCIA IN SALITA: Il Cambio Automatico Metromeccanico tende, istantaneamente, a raggiungere il rapporto Motore-Ruote più adatto ad ogni condizione di marcia. La decelerazione della vettura nella marcia in salita, se la pressione sull'acceleratore rimane costante, costringe gli ingranaggi "T" ad assorbire la differenza tra "M" e "R" (lo stesso vale per il caso in cui si prema sull'acceleratore per compensare la decelerazione). La pressione delle molle all'interno di "P1" farà trasferire il mata di "T" a "T2" liberando il movimento degli ingranaggi "S" che assorbiranno questa differenza trasformando parte della loro resistenza in spinta ad "R". All'aumentare della pendenza (o della pressione sull'acceleratore) aumenterà la rotazione degli stessi e quindi della spinta fornita a "R". MARCIA IN DISCESA: La differenza di rotazione che tenderebbe a crearsi, nella marcia in discesa, tra "M" e "R" ("R", e cioè le ruote per effetto della pendenza, tenderà ad aumentare la sua velocità mentre "M", e cioè il motore per la conseguente minor pressione sull'acceleratore, a diminuire la sua) spinge l'epicicloidale "T" a decrementare la sua velocità rispetto a "R": questo sarà possibile solo quando le molle di "P1" saranno completamente compresse (nel senso opposto alla compressione che si verifica in acceleratore o in salita); questa azione, come già visto nel paragrafo "decelerazione", crea la condizione necessaria al transito del moto tra "P1" e "P2" (e quindi tra "T1" e "T2") e alla conseguente rotazione degli ingranaggi "S" sui loro assi. "T" potrà decelerare la sua rotazione rispetto a "R" e, di conseguenza, mantenere sotto controllo la vettura, nella marcia in discesa, come se fosse inserito (in un cambio manuale) un adeguato rapporto ridotto. Interessanti infine le NOTE COSTRUTTIVE: La schematizzazione degli organi meccanici del Cambio Automatico Metromeccanico, nei disegni della `Tavola 1`_, serve unicamente a consentire una facile e rapida comprensione del meccanismo e del suo funzionamento. Nella realizzazione pratica potranno essere adottate soluzioni diverse per ognuno dei vari componenti. In particolare i due sistemi "P1" e "P2" verranno dimensionati in funzione della potenza applicata al cambio e dalle prestazioni richieste al veicolo. Le molle potranno essere sostituite con altro dispositivo atto a svolgere la medesima funzione (anche idraulico o pneumatico) oppure da una serie di molle aventi caratteristiche decrescenti di elasticità a seconda della pressione esercitata da "T" su "P1". In "P2", il progetto iniziale non prevede, in condizione di "presa diretta", alcun contatto tra "T" e "P2" (le relative molle sono infatti staccate); nella realizzazione pratica sarà opportuno adeguare questa distanza al tipo di risposta che si vorrà ottenere dal Cambio; al limite potrebbe dimostrarsi interessante una soluzione con molle particolarmente elastiche (che offrano, quindi, meno resistenza rispetto a quelle di "P1") che, per la resistenza offerta da "T2" alla spinta tangenziale degli ingranaggi "S", potrebbero essere praticamente in contatto tra loro. Il gruppo epicicloidale "E" potrà essere sostituito da un sistema più complesso, avente però lo stesso tipo di funzionamento. Un sistema con più gruppo epicicloidali affiancati potrebbe fornire rapporti diversi di riduzione a "T" e potrebbe conglobare anche il dispositivo di retromarcia che qui, per brevità, non viene preso in esame. Gli ingranaggi "S", infine, che nel disegno originale sono in numero di 4 per ogni vite senza fine per fornire la massima solidità al cambio, potranno essere in numero differente ed avere dimensioni diverse; il collegamento tra loro (cioè tra i due gruppi) potrà essere attuato con ingranaggi intermedi (quindi non direttamente) e tutto il cambio, per conservando lo stesso principio di base, potrà presentarsi, a seconda delle varie necessità costruttive e delle varie collocazioni nei diversi veicoli che lo utilizzeranno, con architettura parzialmente o totalmente differente. Questo per consentire le opportune elaborazioni dell'idea originale. E per proteggere il brevetto da chi decidesse di modificarne qualcosa e farlo passare per suo. In effetti il dubbio che qualcuno, al di fuori dell'Italia dove sono depositati, decida di farli suoi (i brevetti intendo) è passato per la mente dell'autore (anche in Italia, suggerisce qualche mala lingua): motivo in più per la stesura di questo libro e la sua distribuzione accurata a tutti coloro cui la metromeccanica può interessare. (Meucci insegna) Inoltre, cosciente delle difficoltà che le innovazioni da sempre incontrano al loro nascere, l'autore si affida ad un pubblico scelto confidando nella comprensione di buona parte di loro (per lo meno di quelli che stanno ancora leggendo queste righe). Faccio questa precisazione in questo punto insospettabile del libro, perché convinto che in apertura avrebbe infastidito i meno "aperti" che comunque (sospetto) non si saranno spinti oltre la terza pagina (la Premessa, non quella culturale). È una reazione naturale, non me la prendo per questo, comunque preferisco non dare loro la soddisfazione di queste notazioni. A chi invece mi sta seguendo con attenzione e interesse, voglio assicurare l'assoluta, autentica umiltà con cui sto scrivendo, sapendo che altri, ben più abili, saranno tenuti a continuare per questa strada o magari a riscrivere questo volume. Per carità non confondete l'innato spirito umoristico dell'autore con arroganza. (So con quante "r" si scrive ...) FRENO METROMECCANICO -------------------- .. _`disegno della pagina a fianco`: .. image:: vol1/freno.png I più attenti suggeriranno che somiglia, stranamente, al Cambio Automatico Metromeccanico: avete notato quanto una dinamo assomigli, stranamente, ad un motore elettrico? (Sono la stessa cosa, suggeriranno quelli che non si distraggono mai). Ebbene, senza volervi convertire all'Unicità della Verità, devo riconoscere che esistono dei punti fermi che restano immutabili nei secoli. Non che questo debba riguardare anche la metromeccanica, però... Comunque è da considerare che, provenendo dallo stesso autore, questo brevetto risente del suo modo di pensare nonché di disegnare. Veniamo ai fatti. Il problema è frenare l'asse "R" che, come risulta dal `disegno della pagina a fianco`_, attraversa verticalmente il freno metromeccanico. Così come stanno le cose è già frenato (come insegna il primo principio) perché se non si interviene (vedremo in qual modo) sulla corona epicicloidale "V" non potrà muoversi se non trasportandosi dietro tutta la massa scura ai lati (il telaio, la carrozzeria, etc.). I ruotismi epicicloidali, in questo progetto, sono due, sovrapposti e perfettamente identici. Hanno in comune (perché solidali) i satelliti epicicloidali "P"; unica differenza, consiste nella corona del primo "V" che è libera (vedremo quanto) mentre la gemella "V1" è fissa (al telaio o all'appoggio più sicuro nelle vicinanze). Se anche la corona "V" viene tenuta ferma, il moto di "R1", centrale del secondo ingranaggio epicicloidale, risulterà esattamente identico a quello del gemello "R". Premesso che la vite senza fine "T2" è solidale ad "R" e che la vite senza fine "T1" è direttamente collegata a "R1" dal solito dispositivo a molle (dovrò trovargli un nome - parastrappi mi pare impreciso), anche il moto di "T1" e "T2" risulterà perfettamente identico permettendo agli ingranaggi "S" di ruotare liberamente. (Sul loro asse, date che sono inglobati nella struttura portante della vettura). In questa condizione, e solo in questa, l'asse "R" è libero di ruotare. In qualunque altra no. Se ruotiamo, anche di un minimo, la corona "V" modificheremo istantaneamente la sincronia di "R1" rispetto a "R" e quindi inibiremo la rotazione degli ingranaggi "S". In effetti, questa rotazione di "V" interviene direttamente sulle molle che si trovano tra "R1" e "T1" (che effettivamente svolgono la funzione di parastrappi). Quindi il moto di "R" (che è solidale a "T2") non può più scaricarsi, tramite gli ingranaggi "S", su "T1" e il suo moto, assieme alla rotazione di "S", si frena. Senza attriti, ma solo con spinte tangenziali che i vari ingranaggi, debitamente dimensionati, sopporteranno senza fare una piega (ci mancherebbe). Secondo l'autore (è un dato "a spanne" che quindi va preso come tale) l'azione su "V" per frenare "R" richiede uno sforzo minimo (una spinta di pochi grammi, azzarderei), in effetti non è questa azione che frena "R", ma la caratteristica strutturale di questo freno metromeccanico (le varie spinte tangenziali di cui sopra). D'accordo (sento qualche borbottio), tenere sempre in movimento quegli ingranaggi genera qualche perdita; ma non si può dire che gli attriti delle pastiglie sui dischi, nei freni convenzionali, non ne creino e, tutto sommato, non vi pare che questo freno metromeccanico le compensi ampiamente, in termini di sicurezza, di efficacia, di robustezza ecc. ecc.? L'elencazione dei brevetti metromeccanici finisce qui. L'autore ne ha altri nel cassetto (vi sarà qualche accenno nel capitolo seguente) e sarà lieto di sottoporveli quando saranno sufficientemente sviluppati (e, soprattutto, sufficientemente depositati). E, soprattutto, preferisce non tediarvi oltre. CAPITOLO SESTO ============== Metromeccanica: cosa, come e quando. ------------------------------------ Le risposte a questi 3 quesiti sono, nell'ordine, "semplice", "complessa" e "futuribile". Alla domanda: "Cosa si può fare di Metromeccanico?" rispondo: "TUTTO". Risposta semplice dato che tutta la meccanica attuale è, quanto meno, da rivedere. La mia passione per l'automobilismo mi porta a voler "metromeccanizzare" qualunque cosa riguardi l'auto. (A partire dal motore..., ma ne riparleremo). Però anche in tutti gli altri campi (insisto) c'è molto da fare, molto da semplificare, molto da ottimizzare e, soprattutto, molto da inventare. È un'illusione ritenere che sia stato inventato tutto o quasi. Illusione che, forse, avevano anche i cavernicoli osservando, giustamente soddisfatti, la loro prima clava. E per fare i passi successivi, che sicuramente faremo, serve una meccanica superiore, capace di risolvere problemi ben più complessi degli attuali. Pensate a quante Forze (sì, con la F maiuscola) vengono inutilmente sprecate o non sapientemente utilizzate (non è un ragionamento "ecologico", per carità). La Gravità, ad esempio: è proprio grave che la si debba combattere sempre ad armi così impari (vedi problemino N.A.S.A.). Capovolgendo metromeccanicamente il concetto, potrebbe spingerci verso l'alto. Ma davvero credete che ci vorranno sempre milioni di anni per raggiungere la stella più vicina? (alla preistorica velocità di 40 mila Km. all'ora). O pensate di raggiungerla in quattro anni (o meno) usando il tipo di propulsione che usiamo ora? Domanda: Che tipo di catena meccanica serve per tenere la Luna legata alla terra? Risposta: non serve una catena. Anzi: una catena non serve proprio. Eppure da milioni di anni non si allontana dalla Terra (né, per fortuna, si avvicina). Non voglio interferire con Chi ha saputo creare una meccanica celeste - e non - (vi pare che gli atomi siano cosa da poco?) così sublime. Però qualche indicazione utile alla metromeccanica si può trarre anche dall'osservazione di ciò che ci circonda. Ricordiamoci che i mezzi possono mancarci (come succedeva qualche secolo fa ad un tale che inventava gran parte di ciò che si è realizzato in questo secolo) ma, se le idee sono geniali, presto o tardi li si trovano (i mezzi) e le congetture più incredibili possono diventare realtà. Spero che il riferimento alla meccanica celeste non vi disturbi e non l'interpretiate per quello che non vuole essere. È semplicemente una osservazione, molto razionale e disincantata. Proseguiamo, tanto siamo quasi alla fine. Alla domanda: "Come realizzare un meccanismo metromeccanico", rispondo: "Con fantasia, pazienza, nessun preconcetto (che un meccanismo già esista non giustifica che non debba essere cambiato - diceva un omonimo di mio nonno) e (perché no?) con le indicazioni contenute nei tre Principi già enunciati". Partire da zero, in particolare, può dimostrarsi particolarmente utile. Ed infine, a chi mi chiede: "Quando?" rispondo: "Per quel che ne so, di come vanno le cose, azzarderei una decina d'anni; il progresso non credo possa attendere di più". Quella che attualmente è da ritenersi la più umile di tutte le scienze, perché lontana anni luce dal progresso che ha caratterizzato le altre, deve presto o tardi riscattarsi, avendo in sé più "chances" di quanto si possa anche lontanamente sospettare ed alla fine uscire dal suo guscio (scusate questo mio cedimento, quasi poetico - ma siamo proprio alla fine) e rivelarsi, in tutto il suo splendore e la sua Forza: la "Sublime Metromeccanica". F.S. .. contents:: Indice :depth: 1 :backlinks: none Finito di stampare il 22.11.1991 (data di scadenza 31.12.1999)