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A Mala Debellata
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:CreationDate: 2003-01-28 10:09:25
:tags: racconti
 
Credevo di essere stato solo, molto solo, molte volte in vita mia, ma mi
sbagliavo. Nessuno può essere mai stato solo così come lo sono io, adesso. Chi
è stato solo, in qualunque tempo, aveva la certezza che fuori, in un altro
luogo, c'erano, ci sarebbero sempre stati, altri esseri umani che, in futuro,
avrebbe potuto vedere, sentire; la certezza che la sua solitudine era
temporanea, passeggera. Queste certezze non sono per me neppure vane speranze.
 
Tutto questo a causa di un turista distratto e dello Scudo. Perché scrivere
queste cose? Nessun umano potrà più leggerle, nessun essere potrà mai leggerle.
 
Sono stati necessari seimila anni per costruire la Società, e cinque anni per
distruggerla. Sono stati necessari due miliardi di anni per produrre l'Umanità,
e cinque anni per distruggerla. E io scrivo, senza speranza, per testimoniare
il Tutto, a Nessuno.
 
Oggi è l'intercalare dell'anno 500 a mala debellata. Sarebbe stato l'inizio di
una grande festa. E allora festeggiamo: viva la Società, viva Eutopia, *post
malorum debellationem condita*, fondata cinquecento anni fa, nell'anno 2600
secondo la numerazione in uso allora, nell'anno della *malorum debellatione*:
grazie all'ingegneria genetica si riuscì a rendere la specie umana immune da
ogni malattia conosciuta e, si pensava, sconosciuta, e ad elevare la durata
della vita oltre ogni limite immaginabile: fino a cinque anni fa nessuno della
nuova stirpe era morto, e la popolazione era stabile sui due miliardi di esseri
uma- ni. Anche le malattie e le anomalie mentali erano scomparse: ogni mente
vivente è - era - normale.
 
In quello stesso anno in cui fummo protetti da ogni insidia interna al nostro
corpo, fummo protetti anche dalle insidie esterne: fu attivato lo Scudo, un
campo di forza che impediva - e tuttora impedisce, e per sempre impedirà,
finché esisterà questo pianeta -, a qualunque corpo, particella o radiazione al
di fuori della luce visibile di penetrare nell'atmosfera. E questo significa
niente più raggi cosmici, niente più radiazioni dure, niente più mutazioni,
niente più malformazioni.
 
Anche il processo di stabilizzazione dell'economia e della società venne
portato a termine quell'anno: i sogni di tutti i filosofi divennero realtà:
tutti i lavori sono svolti dalle macchine, senza alcun intervento umano;
ciascuno può usare tutto ciò di cui ha bisogno, nessuno possiede alcunché. Il
crimine ha perso significato: non lo genera il bisogno, che non esiste più, non
lo genera la follia, che è stata eliminata, non lo genera l'invidia o il
rancore, ché siamo - eravamo - tutti davvero uguali, senza nessun bisogno di
gerachie, di comandanti e comandati, di controllori e controllati. Eutopia, la
chiavamo - Società, eravamo.
 
Ormai questo che scrivo è tutto ciò che ne rimane. Forse scrivo per rendere
meno irreale il ricordo, per convincermi che è stato davvero, che è esistita
un'Umanità perfetta, *omnia a mala liberata*.
 
Fino a quel giorno, forse il ventitrè del dodicesimo - penultimo - mese
dell'anno 494 a mala debellata, secondo le poche, spesso confuse, a volte
contraddittorie notizie che si diffusero nel caos che seguì. Si disse che fu un
turista, durante una spedizione in una foresta equatoriale - Sud America?
Africa? -, perso il resto del gruppo, vagando a casaccio, a fare la scoperta
che nessuno riteneva più possibile: trovò un micro-ecosistema rimasto
totalmente isolato dal resto del mondo. Fino a quel momento. Lo scopritore fu
il primo a morire. I suoi compagni, ritrovatolo, portarono il corpo alla città
più vicina: nessuno aveva visto un morto da quasi cinque secoli. Quello fu il
primo, ma non certo l'ultimo. Morirono a centinaia, in pochi mesi. Sembrava di
essere tornati ai tempi in cui imperversava quella peste di cui ci narrano gli
scrittori antichi. Si ipotizzò che fosse stato liberato un parassita a cui,
chissà come, non eravamo immuni - non erano immuni.
 
Come li invidio, ora. Sì, l'invidia, che da cinque secoli nessuno provava più,
è tornata. Invidia per gli altri, i morti. Io li invidio, io, il sopravvissuto.
Perché io? Perché? Perché c'è stato un sopravvissuto? Perché solo uno? Se
lei...
 
Quando la morte avrebbe potuto prendermi, ero vicino a una stazione di
controllo dello Scudo. Non sono ancora sicuro di cosa accadde, e non potrò mai
più esserlo. Penso che si sia sentito male qualcuno dentro la stazione, uno
qualunque, che guardava gli strumenti come avrebbe guardato un quadro o un
panorama. Cadendo, ha probabilmente urtato qualcuno dei comandi manuali,
lasciati dai costruttori per motivi di sicurezza, disattivando la sezione di
Scudo sopra la stazione, sopra di me. I sistemi automatici hanno poi provveduto
a riattivare lo Scudo, ma era troppo tardi: io e gli altri assieme a me eravamo
rimasti esposti a nessuno saprà mai che cosa, e il mio destino era segnato.
 
Perché ho scritto destino? Non ci ho mai creduto. Nessuno ci ha mai creduto. Ma
non si può spiegare altrimenti perché io solo sia sopravvissuto. Dovevo essere
diverso fin dall'inizio, o forse sono stato colpito in maniera diversa dagli
altri. Il risultato è che solo io, di tutti i due miliardi di esseri umani,
sono sopravvissuto.
 
Ora sono solo.
 
Per quanto? Non so, nessuno sapeva quanto lunga può essere la vita, *omnia a
mala liberata*.
 
Cosa posso fare per fuggire questa solitudine? Cosa? Non posso uccidermi: a
parte la mancanza di ogni tipo di armi, le macchine me lo impedirebbero, come
hanno impedito ogni tipo di incidente negli ultimi cinquecento anni. Ogni
incidente, tranne l'ultimo e definitivo. Nei tempi passati si pensava che
esseri da altri pianeti potessero visitarci: anche questa speranza è vana. Le
macchine hanno eliminato i controlli manuali dello Scudo, giudicandoli
pericolosi, e finch c'è lo Scudo, niente può entrare, neppure una nave
spaziale.
 
Non posso morire. Sono contretto a vivere. Solo, in un esilio peggiore di ogni
esilio mai immaginato. *In saecula saeculorum*.
 
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò;
gli tolse una costola e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò
con la costola, che aveva tolto all'uomo, una donna, e la condusse all'uomo
 
Ogni volta che mi addormento sogno che questo si avveri, ogni volta che mi
sveglio vedo che non si è avverato: sono solo, sempre, per sempre.
 
Lei era con me, quel giorno. Mi diceva che saremmo stati insieme per sempre.
Perché tutti i sogni devono sempre essere infranti?